PIS in concerto
Massimiliano Princigallo “Illuso” (voce), Fabio Vassallo (elettro, basso), Giuseppe Franchellucci (violoncello), Fabio Arcifa (chitarra, rumori), Andrea Grillini (batteria), Andrea Calì (piano).
L’elogio del dadaismo e del nonsense.
Il termine “nonsense” ha poco consenso anche a livello scientifico, figurarsi in quello musicale. Spesso infatti, viene confuso con altre forme retoriche come ironia e umorismo o addirittura associato ad una totale mancanza di senso.
La band, o meglio “boyband”, bolognese Passami il sale a.k.a. P.I.S. è l’incarnazione di questa corrente artistica. Il loro primo lp omonimo è il frutto dell’incontro di Max Princigallo e Fabio Vassallo, poeta indipendente pugliese ma ormai residente a Bologna.
Questo disco può essere definito come la sintesi o equilibrio tra quello che è la mancanza assoluta di senso e il senso vero e proprio. Il progetto, di stampo elettropop, è dadaismo allo stato puro: esperienza nuda e cruda sbattuta in faccia agli ascoltatori.
Esperienza di cosa? Della vita, del cazzeggio della volontà di sfogare quella ispirazione artistica che alle scuole elementari la professoressa di disegno aveva represso con uno stitico 4 in pagella. Provando ad immaginare una conversazione dei P.I.S. mi vengono in mente un paio di battute (frutto ovviamente di un flusso di pensieri senza filtri): “Non sappiamo disegnare, e allora suoniamo. Non sappiamo suonare, beh facciamolo lo stesso. Chissà che qualche critico musicale non scriva che il disco è una ‘manifestazione di un desiderio interiore represso che necessitava di una valvola di sfogo per poter far trovare l’armonia all’artista’. In una parola: cazzeggio.”
Dimentichiamoci del nonsense ironico.
In canzoni come “Mosca” compaiono elementi tragici decantati sopra a un ritmo techno ripetitivo ed ostinato. La perseveranza diabolica di questo loop musicale si affianca all’ottusità degli insetti che ‘nonostante metri e metri di salvezza sbattono contro il vetro perchè non sanno passare‘.
Se pensiamo all’esplosione della musica nonsense negli anni ’60 grazie all’influenza dell’estetica postmoderna, possiamo giustificare la scelta dei P.I.S. come una sorta di rinnovamento per elevare i propri testi a qualcosa di più rispetto alla banale canzone di amore. Anche se, data la natura del progetto, non dovremmo essere noi a giustificare o tentare di inquadrare la scelta di questi due ragazzi. Il loro scopo è quello di farci raggiungere lo straniamento rendendo l’abituale visione delle cose deformata, spostando i dialoghi di tutti i giorni in contesti diversi da quelli naturali.
Per una volta ascoltiamoceli e non facciamoci troppe domande.